Tutto in regola… fino all’audit

Tutto compilato, nulla applicato

Tutto in regola… fino all’audit

La falsa sicurezza dei modelli perfetti.

C’è un momento in cui ogni azienda si sente al sicuro: quando ha compilato tutti i registri, firmato tutte le nomine, archiviato tutte le policy.

Poi arriva l’audit, e qualcosa si incrina.

Perché la compliance non è un archivio, è un comportamento.

E spesso ciò che si scopre non è una mancanza di documenti, ma una mancanza di consapevolezza. La differenza tra essere conformi e saperlo dimostrare è il cuore dell’accountability.

 

L’illusione del modello standard

Nel tempo della digitalizzazione, anche la compliance è diventata un prodotto. Modelli precotti, check automatici, dashboard che promettono la conformità in pochi click.

Ma il principio di accountability chiede tutt’altro: dimostrare non solo cosa è stato fatto, ma come e perché.

Il software può essere un supporto utile, ma non può sostituire la valutazione critica del rischio, l’analisi delle filiere di trattamento o la verifica dei fornitori.

Senza consapevolezza, la compliance è un castello di sabbia.

Il risultato? Tutto da rifare. O quasi.

 

Trasformare il controllo in cultura

So bene che le aziende sono subissate di regole e adempimenti, tanto da considerare il GDPR come burocrazia aggiuntiva che aumenta i costi. E comprendo anche la reazione di chi, di fronte alla proposta di un audit, pensa a una punizione.

Ma occorre cambiare prospettiva: un audit è un esercizio di consapevolezza, non un giudizio.

Serve a semplificare i processi, prevenire le sanzioni e capire se le procedure sono vive o se sono solo parole su carta.

Ogni azienda dovrebbe:

  • programmare audit interni periodici per misurare la reale applicazione delle policy;
  • documentare azioni correttive e migliorative ;
  • coinvolgere i referenti di funzione e i responsabili del trattamento in un processo di verifica condiviso;
  • aggiornare il registro dei trattamenti non per obbligo, ma per comprendere cosa cambia nella realtà operativa.

 

Cosa dovrebbe ricordare l’azienda

La compliance non è mai un punto d’arrivo. È un percorso fatto di domande, controlli, aggiornamenti e — soprattutto — persone che sanno cosa stanno facendo.

Affidarsi solo a modelli automatici significa rinunciare alla parte più importante del principio di accountability: la capacità di governare le scelte, non solo di registrarle.

Un audit vero non si limita a verificare i documenti, ma misura il livello di consapevolezza di chi li applica. E la consapevolezza non si scarica in PDF.

Perché il Titolare del trattamento è responsabile e deve saper dimostrare la conformità, l’applicazione di misure adeguate e proporzionate al rischio.

Le misure tecniche e organizzative, inoltre, devono essere non solo adottate, ma verificate e aggiornate nel tempo.

 

Riflettendo

L’accountability non è il rispetto di una regola, ma l’evidenza di una cultura.

E la differenza tra un’azienda conforme e una realmente affidabile non è nel numero di policy firmate, ma nella capacità di rispondere con chiarezza a una sola domanda:

“Se oggi bussasse il Garante, sapremmo davvero spiegare come gestiamo i nostri dati?”

Ogni settimana, in Privacy in azienda, raccontiamo casi reali con un linguaggio chiaro e un approccio concreto.

Perché la privacy non è un adempimento da subire. È fiducia da costruire, rischio da governare, valore da trasformare in vantaggio competitivo.

 

Questa settimana affrontiamo il caso di un’azienda del settore retail, con oltre quindici punti vendita.

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IL CASO

Prove di audit

Un caso reale, seguito dalla nostra Claudia Sorrenti Avvocato penalista specializzato in cybercrimes, esperta in privacy e protezione dei dati per aziende e privati.

 

Un’azienda del settore retail, con oltre quindici punti vendita distribuiti su due regioni, mi incarica — a seguito di un incidente interno (che fortunatamente non si è trasformato in un data breach) — di rivedere la documentazione e le procedure privacy.

La convinzione di partenza era chiara: “Abbiamo tutto sotto controllo”.

Mi vengono esibiti vari documenti — informative, policy, registro dei trattamenti — e procedo con un preliminare privacy check. Tutto formalmente in regola. Ma qualcosa non torna.

Propongo allora di effettuare una prova di audit per testare la “resistenza” dei processi.

I documenti ci sono, ma nulla è realmente applicato.

I processi non sono allineati alle procedure operative, gli incaricati non sanno di esserlo (o non sanno cosa devono effettivamente fare) e i responsabili di funzione ignorano il significato di concetti come “limitazione della finalità”.

Scopro che l’azienda aveva adottato un software per la generazione automatica di policy, informative e registri.

Nulla di male, ma nessuno aveva mai letto nel dettaglio cosa vi fosse scritto.

Così, di fronte a domande concrete come: “Chi aggiorna i dati?” “Chi controlla le misure di sicurezza?” “Chi risponde al Garante se qualcosa va storto?” Nessuno sapeva rispondere.

LA NOSTRA CONSULENZA

Consulenza – Compliance Data Protection e GDPR

Offriamo una consulenza con un approccio programmatico, strutturato e integrato fondato sull’analisi e gestione dei rischi, sulla valutazione delle debolezze e su interventi mirati che vanno dall’aggiornamento delle misure di sicurezza alla formazione del personale.

La definizione di un corretto assetto organizzativo, in termini di ruoli e responsabilità, ed efficienti processi di sicurezza permettono di ridurre il rischio di rimanere vittime di incidenti informatici.

Non esiste certo una misura definitivamente risolutiva contro le aggressioni informatiche che minacciano la nostra quotidianità ma è possibile giocare di anticipo attraverso un’analisi più accurata possibile del panorama delle minacce.

L’attenzione alla privacy, alla protezione dei dati ed alla sicurezza informatica non è un costo né opzione ma un investimento strategico.

Proteggere i dati aziendali, l’infrastruttura e la continuità aziendale richiede non solo software e tecnologie avanzate ma competenze specialistiche e strategie efficaci.

Non basta guardare all’aspetto tecnico ma occorre portare un cambiamento culturale per promuovere un approccio alla sicurezza.

Occorre garantire il rispetto della normativa senza che l’adempimento diventi burocrazia per andare a cogliere i pro in termini di efficacia ed efficienza dei processi aziendali.

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