Quante volte hai sentito o detto questa frase?
Spesso il cloud viene percepito come un’entità astratta, un luogo indefinito dove i dati “spariscono” e diventano automaticamente sicuri.
Una risposta rapida e rassicurante, che sembra chiudere ogni discussione: “È tutto su cloud”.
Ma dietro questa semplificazione si nasconde un mondo molto più complesso.
E soprattutto una domanda che ogni azienda dovrebbe farsi: chi decide davvero come vengono trattati i dati archiviati sul cloud?
Titolare e responsabile
Secondo il GDPR, l’azienda che sceglie di affidarsi a un fornitore cloud rimane titolare del trattamento. È lei che decide di trattare dati personali per finalità proprie e specifiche.
Il fornitore cloud, invece, dovrebbe essere il responsabile del trattamento: un soggetto che agisce “per conto” del titolare, sulla base di istruzioni precise e vincolanti.
Almeno, questo è lo schema teorico.
Nella pratica, le cose si complicano: i servizi cloud sono quasi sempre standardizzati, i contratti sono unilaterali e i clienti hanno pochissimo margine di negoziazione.
Non solo: diventa difficile, se non impossibile, verificare le misure di sicurezza che il provider applica realmente.
Non un semplice contenitore
Il cloud non è un archivio passivo, ma un sistema vivo e dinamico.
Il cliente si concentra sull’uso dei dati – vuole che siano accessibili, affidabili, sicuri e veloci.
Il cloud provider, invece, decide tutto ciò che riguarda la parte tecnologica: ubicazione dei server, protocolli di sicurezza, compatibilità software e hardware, fino alla gestione in tempo reale delle query.
Il risultato? Cliente e provider perseguono finalità complementari, che si integrano tra loro.
Non si può dire che il provider “esegua solo ordini”: prende decisioni autonome che incidono sul trattamento tanto quanto quelle del cliente.
L’impatto pratico per le aziende
E allora cosa fare?
In teoria, se un servizio cloud non permette al titolare di incidere su aspetti fondamentali del trattamento, non dovrebbe essere usato.
In pratica, però, sappiamo bene quanto sia difficile rinunciare al cloud: lo squilibrio di potere è evidente, i grandi provider impongono condizioni contrattuali non negoziabili e raramente accettano interlocuzioni personalizzate.
La vera sfida diventa allora essere consapevoli.
Fare un assessment accurato, capire dove si perde il controllo e quali responsabilità si condividono con il provider.
La riflessione di Claudia Sorrenti, Avvocato Penalista specializzato in cybercrimes, esperta in privacy e protezione dei dati per aziende e privati.
Il cloud non è un “porto sicuro” in sé. È una scelta strategica, che va compresa e governata.
La domanda non è se usare o meno il cloud – ormai è una necessità inevitabile.
La domanda giusta è: lo stiamo usando nel modo giusto, con la consapevolezza di chi decide davvero sui nostri dati?
Perché dire “è tutto su cloud” non basta. Serve capire chi fa cosa, quali responsabilità si condividono e come dimostrare di aver fatto scelte consapevoli.
E per chi vuole approfondire suggerisco uno sguardo alle schede del Garante – Clicca qui
E in tema di pubblica amministrazione – Clicca qui
Leggi IL CASO di questa settimana.
Ogni settimana in Privacy in azienda affrontiamo casi reali raccontati con linguaggio chiaro e un approccio pratico.
Perché la privacy non è un obbligo da subire.
È fiducia da conquistare, è rischio da prevenire, è vantaggio competitivo.